«Un posto magico»
Intervisto Zoe agli inizi del 2021. Fotografa, mamma di due bambini, è un meraviglioso concentrato di energia. Mi confessa di possedere una sua bolla di incoscienza e positività che le invidio molto. Ha partorito in lockdown, successivamente ha potuto avere tutto il tempo per i suoi bambini e per farli “incontrare”. E ha anche trovato un modo coloratissimo di essere lei la bambina di casa, come mi ha raccontato qui. Abita vicino a via Padova, e durante questi mesi ha frequentato il “mare del Trotter”, ripensando a quello di Sanremo. Che differenza c’è tra la cittadina del Festival e il quartiere di un altro festival, SanNolo, parodia del primo?
Il Trotter per noi è stata una valvola di sfogo pazzesca: è un posto bellissimo, raccoglie una dimensione di gioco, di svago ma c’è anche la scuola. Un posto un po’ magico. E poi ovviamente c’è quella parte di piccola natura urbana, che ti godi perché è vicino a casa. A fine settembre mi hanno cercato per un lavoro: il tema generale erano i bambini e il gioco, e lo spazio esterno. Il progetto serviva per costruire un parco giochi per disabili in zona Quarto Oggiaro. Però nel frattempo c’era stata la pandemia, e quindi dovevamo raccontare anche una realtà diversa, di spoazi negati. E io ho fotografato il Trotter.
Avevano appena inaugurato il nuovo campo da basket, pallavolo e calcetto, nella ex piscina del parco. Appena l’ho visto, con la sua bella colata di blu, subito ho pensato al mare, come per il palazzo che ho di fronte a casa mia. Oppure al riflesso del cielo per terra. Questo spazio ti dà un’apertura bellissima. Insomma dovevo fare le fotografie e c’erano un sacco di bambini, di ragazzini, di adulti. Sembrava quasi che il coronavirus non ci fosse mai stato. Qualcuno aveva la mascherina, non stavano tutti appiccicati, però giocavano tutti insieme in questo rettangolone. Era bellissimo. Mi sono proprio fissata lì a guardarli: avevano voglia di sfogarsi e anche di usufruire di quello spazio.
Da Sanremo a SanNolo
Ho vissuto sempre a Milano, poi sono andata a fare un servizio fotografico a Sanremo e ho conosciuto il mio attuale compagno. Ho venduto tutto quello che avevo nella mia casa e mi sono trasferita. Mi dicevano: “Ma cosa vai a fare a Sanremo, tu!”. E io: “Eh, vado per amore!”. Coincideva con una fase un po’ bucolica. Volevo vedere come si viveva in un altro posto che non fosse la metropoli. Stupendo, eh? Bellissimo. Fantastico. Meraviglioso. Però (ride) dopo un po’ arriva la fase X, quella del lavoro…
E insomma alla fine ci siamo ritrasferiti qua. Quando sono tornata nel 2016 ho trovato una città cambiata. Molto più umana. Più aperta. Soprattutto il nostro quartiere. Io prima non sapevo neanche chi fosse il mio vicino di pianerottolo. È sempre stato così vivere a Milano, no? Lavoro, faccio le mie cose e non so neanche chi mi sta di fianco… E invece questa vitalità del quartiere ha totalmente ribaltato il mio modo di vedere la vita in città. Era come se Milano fosse diventata un paesino. Improvvisamente facevamo il cinema nei cortili, organizzavano i corsi di uncinetto per gli anziani, facevamo il Festival di SanNolo – capito? – del quartiere. Cose che si potevano fare anche prima, ma nessuno aveva mai pensato a vivere tutti insieme, in comunità. Un modo magari anche per vincere la solitudine di qualcuno. Mi ricordo che alcuni mettevano i tavoli fuori dal loro palazzo, si sedevano, facevano colazione. Cose assurde che a Milano non avevi mai visto. La pandemia purtroppo ha ammazzato questa idea di fare del quartiere un paesino cosmopolita, che guarda oltre, che ama stare insieme.
Insomma eri a Sanremo, una cittadina, e poi sei tornata a Milano… In un quartiere, NoLo, che si vuole trasformare in paesino! Qual è la differenza?
Tanta. Qui ci sono ci sono gli scambi, i servizi, le possibilità… E poi c’è una mentalità diversa. Non so se è proprio milanese o se è di chi viene qua e poi la acquisisce. L’idea di voler progettare, costruire, migliorare. Altrove sembra che il tempo si blocchi.
Io ci ho lasciato il cuore a Sanremo. Nella città vecchia c’era un gruppo di persone, di tutte le età, dei pazzi furiosi. Avevano questa associazione, Pigna Mon Amour. Avevano voglia di avere una città nuova, però c’era resistenza da parte del resto della città, quella dello status quo. Quando passavo per le spiagge mi sembrava che tutto si fosse bloccato agli anni Sessanta. Non si muoveva nulla. Milano invece è una città speciale. E che ricarbura velocemente, dal nulla torna tutto. La gente si ingegna. È il sopravvivere in modo creativo. Dovremmo sfruttare questa nostra caratteristica per capire quali sono le occasioni che si apriranno dopo questa pandemia.