«Nei mesi del primo lockdown si parlava, stando a distanza, stando proprio sull’uscio»
Questo è il cortile che Davide Verazzani ha “riscoperto” nei mesi di lockdown. Storyteller, autore, organizzatore di eventi, operatore culturale, formatore e consulente, vive con la sua compagna Sara a NoLo in zona via Marco Aurelio/via Crespi. Il suo “effetto personale”, come mi ha raccontato qui , è stato capace di fargli ritrovare una parte di sé. Ma come è stato vivere la casa, il quartiere, e Milano in questi mesi?
La casa è talmente piccola (ride), 40 mq, non è che il rapporto possa cambiare tanto… Siamo tutti uguali, dicono, a causa del virus, ma qui c’è qualcuno che è più uguale degli altri, anche chiuso in una casa enorme durante un lockdown! Io lavoravo da casa anche prima della pandemia, per cui non è sto un problema clamoroso. Abito a piano terra all’interno di un cortile. Per cui io non vedo niente di quello che accade fuori. Però nei mesi del primo lockdown stavamo sulla porta delle rispettive abitazioni, c’era questa situazione più o meno da casa di ringhiera, c’era questo microcosmo che in qualche modo aiutava. Si parlava, stando a distanza, magari proprio stando sull’uscio, però avevo questo. Ho fatto amicizia con una bambina al secondo piano che riusciva a dire in italiano solo gatto, perché vedeva la mia gatta che usciva, e quindi continuava a dire gatto, gatto, gatto, anche quando non c’era il gatto.
Poi uscivo nel quartiere per andare a fare la spesa, devo dire in questo ero un po’ forse un po’ fuori dalle regole: io ogni tanto “dovevo” comprare un panino. Uno. “Ma puoi comprarne dieci” mi dicevano. Ma no, io ne compro uno così poi fra un’ora esco ancora e ne compro un altro. “Ma devi fare la coda di 20 minuti…”. Non è un problema. Mi porto il cellulare, leggo e cose del genere, nel frattempo però guardo le facce delle persone, perché almeno vedo che cosa accade fuori, vedo la gente, in totale sicurezza. Perchè il mondo di fuori stando a casa mia, io non lo vedevo.
Una nuova geografia
Il quartiere l’ho visto chiudersi, svuotarsi ed è stato un bel colpo al cuore: le viette interne del quartiere durante il primo lockdown erano deserte, tutti i negozi chiusi, cartacce per terra che si accumulavano… Però la cosa figa è che l’ho visto rinascere. Appena si sono allentati i limiti, la gente è uscita, è tornata fuori: aveva voglia di comunità, di stare insieme. E devo dire, in modo molto rispettoso: non ho visto i mega assembramenti e c’erano le mascherine. Tra l’altro c’è stata anche la trasformazione di parte di via Varanini, via delle Leghe, Piazza Morbegno: i locali si sono attrezzati mettendo i tavolini sul marciapiede, creando una nuova geografia.
Prima il marciapiede era il marciapiede. Punto. E nessun locale aveva mai pensato di mettere i tavolini fuori, men che meno di usare i tavolini dove le macchine dovevano parcheggiare. La cosa che mi ha stupito molto è che qui si sono lamentati, e ancora si lamentano, della pista ciclabile di viale Monza, dicendo che ha tolto dei parcheggi… Invece dei parcheggi tolti per i tavolini in via Varanini e in via delle Leghe nessuno ha detto niente. C’è anche stata una sorta di solidarietà nei confronti dei titolari di bar, di pizzerie, di ristoranti che avevano perso tutto durante il lockdown. E vedere quest’estate la gente che affollava i tavolini… beh, sembrava di essere a Lignano Sabbiadoro! Cioè, magari anche qualcosa di meglio… Santa Margherita, dai! (ride)
I piccoli villaggi e la grande città
Io nasco e vivo per i primi 25 anni della mia vita ad Affori. Affori è un quartiere che ha tutte le stesse caratteristiche di NoLo, a parte i locali: è quasi un piccolo villaggio, si conoscono tutti, abitano da generazioni lì, famiglie su famiglie: il nonno, il figlio, la nipote… Ovviamente da piccolo Affori mi stava stretto, volevo andare in centro, e sono andato via da Affori.
A Milano più ti spostavi, più eri figo. Non era un problema il fatto che il locale fosse dall’altra parte della città. Questo l’ho sempre pensato fino a che non sono venuto ad abitare qua, fino a che NoLo non è diventato NoLo. Mi sono accorto, con mio sommo gaudio e anche sbigottimento, che vivevo per la prima volta in un quartiere dove erano gli altri milanesi a venire per passare la serata. Ma soprattutto io ci sto bene, qui mi basto. Mi basta cosa c’è qua. Non ho bisogno di andare sui Navigli, se non per questioni storiche: che belli che sono i Navigli! Sono sbigottito dal fatto che sempre più di rado esco da NoLo. Quando esco è per fare cose precise, tipo andare alla Feltrinelli, ma poi ci torno molto volentieri a NoLo, perché si è creata proprio una rete di amicizie, e anche di aiuto, attraverso la Social District. Quindi veramente NoLo diventa un villaggio, all’interno di Milano.
Un villaggio all’interno di Milano… ma Milano sparisce o esiste ancora? Prima mi dicevi Affori – il quartiere paese – ti infastidiva, NoLo – il nuovo quartiere paese – no… Come è cambiato il rapporto con la città?
Milano c’è! Certo. Forse c’è da pensare anche al fatto che non ho più 20 anni, ma 55, quindi è diverso. Ormai ho sviluppato una certa insofferenza verso “andiamo là che qualcosa accadrà”: ho già dato! Però è anche vero che io non sono un pigro da questo punto di vista, quindi chissà… se NoLo non fosse a Milano… A me non piace la provincia. Cioè se Bovisio Masciago fosse NoLo, non mi piacerebbe, perché è Bovisio Masciago. Con tutto il rispetto per Bovisio Masciago!
A me piace NoLo perché so che quando voglio posso uscire da NoLo. Cioè so che a 20 metri da dove sto, c’è una città. Faccio parte di una città. Cioè sono una parte, per me importante, per me fondamentale, fondativa che mi basta, che mi dà un senso identitario, ma è comunque una parte in una grande città. NoLo ha un senso perché all’interno di Milano, e può ricevere tutto quello che può ricevere da Milano. Sono fiero di essere di Milano e sono orgoglioso di quello è diventata e diventerà Milano. Io non sono di NoLo, io sono di Milano.
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