«Se una cosa ti limita, tu ci rimani male»
Yara ha 18 anni. Nata ad Alessandria d’Egitto, arrivata in Italia a due anni, ha vissuto a Pieve Emanuele, Milano, Padova e poi di nuovo a Milano, prima a NoLo e ora ad Affori. Ha frequentato la scuola del Trotter e poi si è data da fare in varie attività di volontariato delle associazioni lì presenti, spesso lavorando con i bambini. Yara è attivissima, nel suo vecchio quartiere e non solo. Studia, pensa, scrive, canta, lavora con gli altri. È riservata, dice, eppure è stata anche il volto di NoLo nella campagna del Comune sui quartieri di Milano. Yara dice tante cose, come succede a 18 anni. Yara esprime tanti sentimenti, come succede a 18 anni. Yara è una ragazzina e una donna, come succede a 18 anni. Yara che è tante cose, anche contradittorie. C’è una parola che mi ripete spesso: stressante. Il sogno? Fare la pediatra. Io ho cercato di rassicurarla sull’esame di maturità, ma non ci sono riuscita..
Una prigione piccola
Quando hanno detto del lockdown era il week end. Inizialmente ero contenta: il lunedì non si andava più a scuola. Poi però è stato triste: l’ambiente scolastico è l’ambiente scolastico, guardare lo schermo e doversi immaginare di essere con i prof e i compagni non è la stessa cosa. Era stressante. Io non sono una ragazza che esce tanto, che quindi va in discoteca per dire… A me basta soltanto andare sotto casa per una passeggiata, però non sentire magari un peso addosso. Tu pensi: “Ora non posso più uscire con chi voglio, non posso più fare quella passeggiata di dieci minuti da sola, ad ascoltare la musica, perché magari c’è la polizia che controlla, quindi sei sott’occhio, sei controllata”.
Infatti io mi ricordo che un giorno l’ho vissuto veramente malissimo perché dopo studi, studi, studi, studi, studi, io non dormivo proprio. Cioè andavo a dormire alle 3 di notte… Non uscivo, non cambiavo aria. Sembravo un topo chiuso dentro una prigione piccola. Infatti a un certo punto sono scoppiata e non ho dormito per nulla quel giorno, e mi son vestita e stavo per uscire, però non avevo il coraggio. Gli esseri umani sono così: se vedi una cosa che ti limita, tu ci rimani male perché dici “Sono una persona, ho i diritti, posso fare quello che voglio”. Senti proprio questa sensazione di frustrazione.
Eppure le persone sono riuscite ad affrontare il primo lockdown in maniera efficace. Proprio nei momenti di ansia e nei momenti di tensione, le persone riescono a dare il meglio, perché veramente riescono ad avere una forza grande. Rispetto all’anno scorso io adesso mi sento più debole, meno attiva. All’inizio mi sono rifugiata nello studio, ero ossessionata, e ho portato a casa buoni risultati. Ora invece magari ho altri interessi, per esempio i film. Cerco di farmi condizionare meno, mi concentro più su quello che voglio fare, sull’attività che voglio portare avanti.
Mi piace non perdere due ore per andare a scuola
La DAD non è la stessa cosa perché magari se hai dubbi, in presenza puoi più avere un feedback diretto con il prof, puoi chiedere più cose. Però devo dire che comunque il fatto di non dover uscire di casa la mattina presto non è male. Noi entriamo alle 7.50 a scuola, quindi devo alzarmi alle 6.00: la mia scuola non è vicino casa.
Adesso mi alzo solo mezz’ora prima l’inizio delle lezioni. Da questo punto di vista l’ho trovata una cosa molto vantaggiosa, molto più rilassante. Inizialmente facevamo anche video lezioni il pomeriggio, una cosa veramente stressante. Quest’anno è cambiato tutto, si va dalla mattina fino al pomeriggio, diciamo alle due, alle tre massimo, e abbiamo finito. I prof non si sono del tutto resi conto che è difficile per noi. Magari è difficile anche per loro, ma è più difficile per noi perché dobbiamo portare a casa il voto, e dobbiamo impegnarci il doppio. E invece loro ci hanno fatto impegnare quattro volte in più. Però io mi organizzo, perché faccio i miei riassunti prima, le mie mappe prima, studio bene. Per questo preferisco non perdere il tempo per andare a scuola, e non perdere il tempo per tornare.
Andare avanti
Io sono una ragazza molto per i fatti suoi. Ho pochi amici e ok. Con questi amici inoltre non esco tanto, sono una che magari esce da sola con la sua musica. Io credo che l’amicizia debba essere reale, non quella dei follower. Adesso su WhatsApp gli amici reali saranno 5/6 massimo. Non è tanto brutto vederli via zoom, ma non è tanto bello (ride), però non mi cambia tanto (ride) per dirla tutta. Sento dei ragazzi che dicono “Hanno chiuso le discoteche”: chi se ne frega! Cioè la salute prima di tutto. Non si può più vedere il compagno? Ok. Si potrà vedere poi. È vero che magari sei giovane e perdi questi mesi della tua vita. E vabbè, uno cosa deve fare? Si deve deprimere? No! Io sinceramente vado davanti.
Diventare dottoressa
Io sto facendo un professionale socio sanitario, quest’anno ho la maturità. Comunque anche questa è un’altra preoccupazione perché uno non si sa neanche se tornerà realmente a scuola o meno. E poi mi devo organizzare bene anche per l’università. All’inizio avevo optato per fare l’assistente sociale. Solo che poi mi sono resa conto che in qualche modo ognuno è un’assistente sociale, perché ognuno organizza attività che servono agli altri.
La mia scelta dell’università è dovuta a un fatto banale. Io e mio fratello eravamo a passeggio durante il periodo post lockdown. Un cane ha morso mio fratello e siamo dovuti andare dal pediatra al pronto soccorso. E quindi io da quel momento ho detto: “Basta, io voglio fare la pediatra perché è bello!”. Non so, forse mi ha affascinato il modo in cui la dottoressa si è rapportata con mio fratello. Comunque anche da piccola mi mettevo a giocare con mio fratello, lui era il malato e io lo guarivo. Una cosa così, spontanea. Lavorare con i bambini poi mi interessava già. Il problema era avere il coraggio e avere le idee chiare. Spero il prossimo anno di essere ammessa e di poter frequentare l’università in presenza.
Il volto di NoLo
Questa mia amica era in una riunione con i ragazzi del Comune, e anche con i direttori dell’associazione Amici del Parco Trotter: erano alla ricerca di un volto “diverso” da quello magari di una classica italiana… E lei ha proposto me perché sono attiva nel quartiere. Inizialmente io avevo detto “Sì facciamolo!”. Però dopo aver visto tutti i poster, e aver ricevuto tutti quei messaggi dalle persone che li vedevano… Sentivo violata la mia privacy (ride). Ogni tanto le persone mi guardavano come per dire “Io l’ho vista da qualche parte questa ragazza”. Ero contenta perché comunque è bello rappresentare il quartiere in cui hai vissuto, un quartiere veramente bello e molto attivo. Però un po’ mi ha messo l’ansia: non mi aspettavo tutte queste reazioni, anche molto carine. Erano veramente molto orgogliosi e fieri di me. È una bella sensazione.
Tu metti la musica e vai
Amo la musica, ascolto in particolare rap pop egiziano. Non scrivo tante canzoni, perché non ne sono realmente capace, sinceramente. Però mi piace cantare canzoni che hanno un significato, su temi veramente molto forti, per esempio i matrimoni combinati, il fatto di farsi coraggio, i diritti delle donne. Ho scritto una canzone in questo periodo, italoegiziana, come un breve racconto. Una ragazza e un ragazzo inizialmente si amano, poi a un certo punto si lasciano, non si sa perché. Ma ad un certo punto la ragazza si trova in ospedale, in questa stanza bianca e poi scopre che c’è un ragazzo, un altro paziente… Che ha un soffio al cuore. Lei vuole conoscerlo, e poi decide di donargli il cuore. E quindi lì finisce la storia. È un po’ triste (ride).
Con la musica io sono riuscita ad andare avanti. Perché mettere le cuffie e studiare è già una bella cosa. Con la musica vai in un altro mondo, lontano dall’ambiente in cui sei. Per esempio sei a casa, uno parla, l’altro canta, l’altro fa non so cosa, ma tu metti la musica e vai. Non senti più nulla, senti solo la musica, sei soltanto tu il centro dell’attenzione.