«La pittura è perfetta in
pandemia: è tutto lì, dentro di te»
Intervisto Zoe Vincenti agli inizi del 2021. Fotografa, mamma di due bambini, è un meraviglioso concentrato di energia, anche quando mi parla della sua vita nel quartiere, e della magia del Trotter. Mi confessa di possedere una sua bolla di incoscienza e positività che le invidio molto. Ha partorito in lockdown, successivamente ha potuto avere tutto il tempo per i suoi bambini e per farli “incontrare”. E ha anche trovato un modo coloratissimo di essere lei la bambina di casa.
Ci siamo ritrovati chiusi in casa io, mio figlio Nadir di tre anni e il mio compagno. All’inizio la convivenza è stata bellissima. Penso come un po’ per tutti, c’era un’euforia pazzesca. Tutti felici di condividere tutto quel tempo insieme… Noi ci siamo messi a dipingere casa. È stato proprio bello: vedi che anche ha i suoi lati positivi il virus? Però poi dopo, un mesetto di convivenza, è arrivata la mazzata… Perché comunque non vivi quasi mai 24 ore su 24 con tutta la tua famiglia. Nadir aveva papà e mamma sempre attaccati, e più c’eravamo e più voleva stare con noi, e voleva fare cose, perché poi lui è molto attivo. All’inizio coloravamo, facevamo, disegnavamo, ma dopo un mese l’energia si è esaurita. Nadir era diventato ingestibile anche come regole, se ne approfittava un po’ (ride). E poi è arrivato il giorno che ho dovuto dirgli: “La mamma va in ospedale”. Ero incinta quando è scattato il lockdown. Così dopo un mese e mezzo che eravamo chiusi, è nato Noah.
La bolla
Quando è scattato mi è venuta un’ansia pazzesca: io adoro camminare e sapevo che quello era il mio ultimo mese di passeggiata spensierata con il mio pancione, perché poi avrei dovuto seguire le esigenze del bambino. Mi sono detta: “Noooo, mi faccio questo mese e mezzo così, noooo!’” (ride). Poi ho pensato: “Ok, poteva essere peggio, tanto il tuo corpo tra un po’ non avrà magari neanche voglia, sarai sempre più stanca”. C’è stata una specie di compensazione nella mia mente. Da un lato il covid, la paura, dall’altro la mia famiglia, la mia casa, mio figlio Nadir e Noah che stava per nascere. Certo, avevo l’ansia da film catastrofico alle volte: “Oddio, ma cosa stiamo lasciando ai nostri figli? Nel futuro questa sarà la normalità, non ci si potrà più muovere?”. Nella vita però io ho anche questa “bolla” che mi caratterizza, questa sorta di incoscienza e positività qualunque cosa stia succedendo. Mi rimane addosso sempre questo filetto di speranza.
Tante mie amiche che dovevano partorire in quel periodo erano veramente terrorizzate. Io ero impaurita ma non esageratamente. Sono andata nello stesso ospedale dove è nato Nadir. Al Macedonio Melloni qui a Milano, mi sentivo super super protetta perché adoro quell’ospedale, sono bravissimi! E poi avevo addosso appunto questa mia bolla. E ce l’ho tuttora, nonostante tutto quello che ho visto, dentro di me nel profondo penso: “Si risolverà, si risolverà, si risolverà”. Torneremo… Non dico la parola normalità, mi fa pure un po’ incazzare questa frase: la normalità in realtà è un concetto astratto. Mi sarebbe piaciuto che questa pandemia ci avesse cambiato veramente, però no, non ci ha cambiato.
In ospedale, durante il travaglio, mi ricordo che a ogni minuto, quando passava qualcuno nel corridoio, mi diceva: “Signora, tiri su la mascherina”. Ai tempi si mettevano anche i guanti: su quelli avevo un po’ la paranoia, li mettevo proprio perché avevo paura. Però mi ricordo che pensavo: “Sì, ma se uso il guanto e poi prendo il mio telefono… Devo stare immobile, sto coi guanti e sto immobile!” (ride). E poi che fastidiosi i guanti, ancora di più della mascherina! Alla fine poi tu non vedi quello che realmente succede… I dottori e gli infermieri arrivano, fanno, disfano, mica puoi sapere di tutti gli infermieri la loro vita privata! Sei talmente presa dal parto che figurati se ci pensi!
Mamma, ma sono tutti dottori?
Dopo il parto avevo la mia solita bolla e in più avevo quella della maternità, che è una bolla proprio speciale. Stai proprio nel mondo dei Puffi, col cervello frullato, tutto è bello e sei felice, felice, felice, gli ormoni vanno a mille. Abbiamo fatto i primi giorni che ancora eravamo in lockdwon, a metà aprile, eravamo tutti a casa, è stato bellissimo. Finché avevo il pancione, Nadir diceva: “Ok, c’è un fratellino, c’è qualcuno nella pancia”, ma non sa che realmente c’è. Siccome non andava all’asilo, si è goduto il fratellino 24 ore su 24, e si sono conosciuti davvero. A maggio quando hanno riaperto ero strafelice: per fortuna posso anche fare una passeggiata! Con un bambino appena nato era come se avessi anche un lockdown interno, la sensazione che il tuo corpo e il suo siano la stessa cosa. Uscivamo tutti e tre… E Nadir vedeva tutti con la mascherina e pensava fossero tutti dottori! E allora ci giocavamo, anche per non farlo impaurire. Lui diceva: “Sono dottori?”. E io: “Ma nooo, cosa dici, sono persone normali” e ridevamo. Poi quando ha iniziato a interagire con le persone, quando ha iniziato andare alla scuola materna, allora ha capito: “C’è il coronavirus”. Adesso ce lo spiega lui! (ride).
La finestra sul cortile
Dalla finestra che dà sull’interno vedevo praticamente lo svacco di tutti: io vivo in una corte di sei palazzi con un cortile a forma quasi circolare. Vedevo quelli di fronte che sono uno spasso, in particolare una signora di 70 anni che andava in giro in mutande coi bigodini, una che se ne frega particolarmente. Inoltre Nadir è un bambino un po’ sopra le righe, curioso, e ogni tanto lui usciva fuori dal balcone e urlava: “Ci sieteeee? Dove sieteeeee? Hey, mi sentite?” (ride). Era una roba proprio da film. “Ma io sono quiiii. Amiciiiii” (ride). Dalla finestra che dà sulla parte esterna, quella sulla via, ho davanti un palazzo fantastico, tutto blu. Io per ridere dico “Questo qua è il mio mare!”. E in ogni buchetto delle finestre vedevi la vita che scorreva, tutti a casa a gestire questa casa. Era il tempo della casa. Era un po’ la nostra televisione: quando ti stufavi di star di là, ti mettevi sul balcone ed era bellissimo. Mi girano le balle, avrei potuto piazzare la macchina e filmare, semplicemente!
Diventare oggetti o restare umani?
Avevo appena iniziato un mio progetto fotografico quando è arrivata la seconda ondata. Durante questi mesi, ho avuto questa sensazione come di sparire, ed è successo anche tra i miei amici e conoscenti. Come di diventare sempre più invisibile. Allora mi sono immaginata questi ritratti fotografici di famiglie che spariscono piano piano all’interno della propria casa. Come camuffati e mimetizzati, diventano oggetti. Ti salvi o non ti salvi? Diventi oggetto anche tu o resti umano? Cosa sei adesso?
Su Effetti Personali cerco proprio l’oggetto che non ci ha fatto sparire, quello cui ci si è aggrappati, per caso o per scelta, per restare umani… Il tuo quale è stato?
Grazie ai bambini, ho ricominciato a fare una cosa che non facevo da milioni di anni: dipingere, usare la pittura, disegnare tantissimo. Ho tante passioni che magari metto da parte, e invece questa l’ho ritirata fuori durante il lockdown e anche dopo. Quasi la uso come scusa, e obbligo i miei figli (ride) a disegnare. Allora il mio compagno mi guarda, e ridendo dice: “Vabbè ma la vera bambina sei sempre tu!”. Tra l’altro la pittura è quasi all’opposto di quello che faccio: come fotografa devo cercare nella realtà le cose che esistono. Non prescindo dalla realtà, poi però mi concentro su qualcosa di immateriale, un’immagine. Invece con la pittura crei qualcosa di tangibile subito: colore, righe e vai! Non hai bisogno di niente, è perfetta per la pandemia: comunichi senza andare a cercare le cose fuori, perché è tutto lì, tutto dentro di te.