«Tutto passa da lì»
Nato a Cosenza 34 anni fa, dopo aver studiato a Bologna, Daniele Dodaro si è trasferito a Milano e da qualche anno è il “sindaco di NoLo”. Cioè colui che ha creato quella Social District che ha avuto così tanto successo come mi racconta qui. Daniele è al centro di diverse iniziative, tra cui anche la Spesa Sospesa, e muove le fila della pagina. Inoltre è anche fondatore di Squadrati, società di ricerche di mercato, celebre per i suoi quadrati semiotici. Uno l’ha dedicato ai quartieri di Milano e uno anche al nostro atteggiamento durante la pandemia. Il suo di atteggiamento me lo racconta durante questa intervista, insieme a tante altre cose. La pandemia ha portato tutti a riflettere su temi come la casa, la famiglia, la città. Cosa vogliono dire per ciascuno di noi? Quando mi racconta del suo effetto personale, e mi chiede se è “triste”, mi rendo con che non lo è: al di là di certi abusi, è lo strumento che ci ha davvero aiutato in questo periodo. Una vera scatola magica, come si diceva una volta. Per questo le parole del sindaco di NoLo mi paiono quelle giuste per chiudere la prima parte del progetto Effetti Personali.
Dalla nuova routine alla palude
Una delle cose che mi ha stupito durante il lockdown di marzo 2020 è stato…il relax. Ho cercato di vederla in modo positivo. Ho cercato di farmelo scivolare addosso, forse sono fatto così. Qualcuno dice che sono menefreghista, In realtà è più una strategia di sopravvivenza. Mi sono stupito di me stesso. Mia madre si ricorda che da bambino le cantavo una filastrocca che faceva così: “Che faccio, che posso fare, che faccio, che posso fare”. Vivevo con angoscia lo stare chiuso in casa. Quindi se uno mi avesse detto: “Guarda Daniele, nel 2020 tu starai due mesi chiuso in casa, non vedrai nessuno e uscirai una volta alla settimana per fare la spesa, sotto casa tua, a 20 metri”, gli avrei detto “Vabbè, diventerò matto”. E invece mi sono ricreato una mia quotidianità, una ritualità delle cose: “Ah ora devo fare la doccia, ah ora devo fare il caffè, ah ora devo fare la torta”. E’ stata una cesura netta con la nostra quotidianità, è stata una cosa che non avevamo mai visto, forse proprio perché è successa all’improvviso e non avevamo gli strumenti per razionalizzarla. E non so, alla fine mi ci sono trovato quasi bene.
E quindi ad esempio cucinavo tanto. Mi svegliavo la mattina tardi e avevo sempre una torta per colazione fatta da me: torta di nocciole piemontesi o cheesecake con la base brownies. Tanto meglio farla quanto più tempo ci voleva a farla. Tipo montavo gli albumi a mano! Questo fa ridere, perché ti rendi conto di come ti prendevi in giro da solo. E poi sicuramente molto tempo l’ho passato a vedere in streaming serie e film. Non avevo mai visto tutti i film di Star Wars! Oppure tutto RuPaul’s Drag Race, una sorta di pilastro culturale della mia comunità, quella gay. Era una visione anche di compulsiva: era come se avessi avuto un compito che dovevo portare a termine. Anche questa, se ci pensi, è una cosa abbastanza assurda.
Quello che ovviamente vivevo male erano le notizie all’esterno. Io non sono un tipo ansioso, ma molti miei amici erano paranoici, avevano paura del contagio, vivevano molto male. E poi la tristezza per le immagini dei morti. Ero permeato da queste visioni altrui. Però allora comunque c’era una scadenza, a maggio sarebbe finita, e questo mi faceva dire: “Vabbè poi le cose miglioreranno”. Invece la successiva divisione a zone, beh l’ho vissuta con un po’ di stress. Una situazione più paludosa, che non sai quando finisce… Il fatto poi è anche che le zone cambiano più velocemente della mie abitudini, no? Mentre ci sono persone che appena c’è la zona gialla fanno di tutto, io non sono così veloce: un mio locale del cuore ha aperto per una settimana, e poi ha dovuto chiudere di nuovo e io non ho fatto in tempo ad andarci.
Qual è la tua casa, la tua città, la tua famiglia
Io posso permettermi il lusso di dire che mi sono rilassato perché vivo da solo in una casa relativamente grande per una persona. Ne faccio una questione proprio di classe sociale: ci sono persone che sono state chiuse in monolocali, e non certo da sole. E altre invece in 100 metri quadri con terrazzo. Non si possono paragonare le tre esperienze. Ma la domanda che mi viene da fare a tutti dopo questo è: “Qual è la tua casa?”. Le scene delle persone che prendevano il treno alla stazione Garibaldi mi rimaranno sempre impresse. A me dispiace per loro, non lo dico con cattiveria: alcuni magari avevano delle situazioni particolari e dovevano tornare alla propria cittadina di origine, ma altri è evidente che non vivono bene qui, a Milano. Mi sono reso conto che c’erano dei miei amici che stavano male. Ma non puoi pensare che la città, se non devi andare al lavoro, non sia più interessante. Se per te la città, quello che ti può dare, è solo un aperitivo, andare a ballare, lavorare, c’è qualcosa che non va. Qual è allora il valore della città? Se togli tutto, che cosa resta della città? Secondo me la risposta è: restano le persone. Che hanno una mentalità più aperta spesso rispetto ad altri contesti – io ad esempio qui possono vivere la mia omosessualità in un modo assolutamente tranquillo. Le persone che hanno scelto una città, in qualche modo si sono scelte, no? E quindi dal mio punto di vista la risposta alla domanda “Qual è la tua casa” è: la casa è dov’è la mia rete sociale. Dov’è la famiglia, intesa in senso allargato, nel mio caso in particolare per me è quella che viene chiamata la chosen family, la famiglia che ti sei scelto. Io ho degli ottimi rapporti con i miei genitori, ma la mia casa è dove ho le mie relazioni.
La rivoluzione gentile della Social Street
La Social Street è nata per caso, non pensavo sarebbe esplosa così. Sì, nella descrizione della pagina ho messo che è un gruppo antifascista, una precisazione che un po’ si rende necessaria perché ci sono dei rigurgiti fascisti forti. La Social Street è assolutamente apartitica. Poi in un certo senso è polis allo stato puro. La base è l’aiuto, aiutarsi tra vicini. Il criterio che cerco di mantenere nel moderare i commenti è l’utilità. Durante quest’anno pandemico, le fasi all’interno del gruppo sono state due. Quando sono partite le zone rosse arancioni e gialle, siamo quasi diventati un rigattiere (ride). Le persone adesso stanno molto a casa e decidono di fare ordine, e così regalano qualsiasi cosa! Sono contento, perché per un oggetto che qualcuno sta regalando, c’è qualcuno che risparmia dei sodi, è economia circolare. Però a volte c’è un livello di ciarpame incredibile!
Invece durante il lockdowan di marzo/aprile 2020 la vera questione caratterizzante è stata la Spesa Sospesa, che è nata, come le migliori cose di NoLo – questa è la grande forza della Social Street – da un post scemo o se vuoi un post piccolo. Alberto voleva regalare una spesa, una sola: era quasi un gesto naïf. E invece lui e poi io ci siamo ritrovati ad organizzare una cosa dalle dimensioni inimmaginabili. Alberto mi ha chiesto aiuto per organizzare la Spesa perché diceva che, essendo dietro la Social Street, le persone si fidavano di me. Io e Alberto ci sentivamo tutte le sere, ma noi ci conoscevamo di persona, ci siamo visti solo post lockdown. Tutto questo insomma è stato messo in piedi da due persone che non si erano mai viste, sembra assurdo! Ma questa secondo me è la vera rivoluzione gentile della Social Street. Quella ad esempio di qualcuno che mette un tavolino per strada, come ha fatto la mia amica Sara nel 2016, e crea le colazioni di quartiere. Poi arrivano i sociologi, i designer, quelli che studiano e dicono: “Ah sì questa è un’appropriazione dello spazio pubblico in cui il cittadino rivendica…”. Magari sì, la possiamo analizzare così, ma lei ha messo le sue cose sul tavolino in strada e ha chiesto “Chi viene a fare colazione?”. Anche qui, era tutto molto naïf. E invece questa cosa ha scosso le persone.
Passa tutto dal computer
Una cosa particolare che è capitata nei mesi di lockdown è che ho scritto delle canzoni sulla situazione che vivevamo. Talvolta ne scrivo per diletto, ma avevamo così tanto tempo a disposizione che quando un ragazzo di NoLo ha proposto una sfida – creare una canzone a tema e con un preciso giro melodico – beh l’ho fatto subito. E mi sono messo subito all’opera: in 24 ore anche grazie a un programma sul pc io avevo non solo testo e musica, ma la demo, proprio con batteria, basso, chiatarra… Tutto. E se devo pensare a un oggetto particolare… ecco, tutto quello che io faccio e ho fatto durante questi msi passa attraverso un computer, dal lavoro al divertimento. Forse è un po’ triste dirti che il mio effetto personale è un computer… O no?