«È bellissima. È la chitarra che ho sempre voluto. La suono ed è perfetta»
Davide Verazzani, 55 anni, è storyteller, autore, organizzatore di eventi, operatore culturale, formatore e consulente. Vive con la sua compagna Sara a Nolo in zona via Marco Aurelio/via Crespi. Ci conosciamo da tempo, è il primo che intervisto, a fine 2020, quando per le vacanze natalizie l’Italia diventa a giorni alterni o rossa o arancione. Davide è bravo a raccontare e raccontarsi, anche durante questa conversazione di getto, colloquiale, sincera, tra “amici”. E anche se la pandemia l’ha tenuto lontano da quello che ama, appena ha potuto ci si è ributtato. Non solo ha riscoperto il cortile di casa, come mi ha raccontato qui, ma anche una parte di sé attraverso un “effetto personale” musicale.
Del Paziente Uno di Codogno ho dei ricordi molto vaghi. Mi ricordo quando c’è stato il lockdown a Wuhan in Cina, mi ricordo di aver pensato: “Madonna, che roba! Per fortuna che è là”… Mi ricordo invece molto bene quando hanno reso zona rossa la Lombardia. Era un sabato sera, ero al Ghe Pensi M.I. a bere con gli amici e arrivava gente da fuori con il cellulare in mano: “Guardate cosa sta succedendo. Qui stanno chiudendo tutto. Bisogna andare via”. “Ma no, ma dove cazzo vuoi andare, io abito qua” dicevo. Eravamo più che impauriti. Tutti a dire: “Ma figurati se chiudono l’Italia, figurati! Come fanno? Mettono l’esercito sui ponti?”.
Beh… sì.
Poi sono passato all’incredulità: “Dai, non sta succedendo davvero”. Poi ho pensato: “Vabbè, dai, solo qualche giorno, per fortuna che io non ho delle date con gli spettacoli in queste due settimane. Che culo che ho avuto.” (ride). Non mi era chiara la gravità della cosa perché non si sapeva. Cioè, era a Codogno il problema, non a Milano, no?
Quando ho capito che non erano due settimane, ho pensato che dovevo sopravvivere in qualche modo. Ho cercato anche di andare avanti con la mia routine: lavoravo da casa più di prima, ovviamente, ma mi alzavo alla stessa ora, mi vestivo, e nei weekend invece continuavo a “fare il weekend”. Altrimenti sarei impazzito probabilmente. E poi c’era questa voglia di conoscere tutto. Seguivo i telegiornali, le trasmissioni, leggevo i giornali e i Dpcm per tenermi ancorato alla realtà. Volevo capire quello che stava succedendo e come il Governo o l’Europa stavano reagendo alla situazione. E io piccolino ero all’interno di questa cosa grande, e sentivo una solidarietà, al di là della retorica dell’andrà tutto bene e delle cantate dai balconi, quelli mi hanno fatto sempre abbastanza vomitare, devo essere sincero… Ma c’era l’idea del: “Ok, siamo tutti sulla stessa barca, ne usciamo tutti insieme, ma ne usciamo, perché non si può non uscirne”. Non può scomparire tutto all’improvviso, quindi c’era da una parte la tristezza del dire “Porca miseria che faccio”, e dall’altra però un certo ottimismo, che mi ha fatto pensare: “Io il NoLo Fringe Festival di giugno non lo annullo, lo sposto a settembre”.
Un atto di ottimismo
Il NoLo Fringe Fest è una rassegna di arti performative che si svoge a NoLo, ispirate al celebre Fringe di Edinburgo. Ed è sinonimo di assembramento (ride). Sono spettacoli teatrali che si svolgono in posti molto piccoli, che non sono adibiti a teatro, come locali, palestre coworking e così via. Il primo anno, nel 2019, è stato un grande successo e c’erano un sacco di persone tutte ammassate, e noi eravamo molto felici di questo. Nel 2020… avevamo tutto pronto, ma quando ho visto che all’inizio di aprile le cose non andavano benissimo, ho detto “Spostiamolo”. Qualcuno diceva di annularlo. Per me però è stato un gesto di grande ottimismo, perché ho detto “Proviamoci”.
Non ero assolutamente sicuro di riuscire a farlo. In estate ho girato anche due o tre festival per vedere come li avevano organizzati rispettando le normative, per imparare, no? Abbiamo cambiato ad esempio l’organizzazione. Il festival presupponeva ingressi gratuiti: tu arrivavi, aspettavi, entravi. Quest’anno bisognava invece prenotarsi on-line, e la cosa ha funzionato così bene che penso la manterremo per il prossimo anno. Certo, abbiamo dovuto dimezzare le capienze, è stato un po’ triste, però almeno lo abbiamo fatto. Sono rimasto soddisfatto, e soprattutto la gente ha partecipato e ha capito in pieno. Si comportava benissimo. Ormai a settembre avevamo imparato: mascherina, mani igenizzate, temperatura…
Comportamenti individuali e collettivi
Da un punto di vista più ampio, sono rimasto sconvolto positivamente da come gli italiani hanno reagito. Quando ho capito che bisognava fare la coda al supermercato, ho pensato “Sarà un casino”. E invece io vedevo gente ordinatissima, nessuno faceva il furbo. Siamo il popolo più casinista e disordinato del mondo, ma cacchio di fronte a questa calamità abbiamo reagito in maniera compostissima… al primo lockdown. Adesso un po’ meno. Perché? Perché ci siamo anche un po’ rotti le balle…
A maggio, appena hanno aperto cinema, teatri, locali io sono stato il primo a entrare, perché per me questa è la normalità. Quelli che che mi dicono che non dobbiamo tornare al mondo di prima, perché il mondo di prima era sbagliato, lo sapevamo che andava male… Ma col cazzo, io voglio tornare al mondo di prima, perché il mondo di prima me l’ero scelto io. Io mi sono scelto il mio mondo di prima, quindi se voi vivevate in un mondo di merda, in parte è perché ve lo siete scelto, problemi vostri! Io invece voglio tornare al mondo di prima.
Tutto è eccezionale
C’è stata un’immagine che mi ha fatto capire non tanto la gravità, ma l’eccezionalità del tutto. È la messa del Papa da solo in Piazza San Pietro, tra l’altro con un tempo da lupi. Una roba veramente biblica. L’apocalisse. Quello sicuramente mi ha colpito tantissimo, ma mi ha fatto anche un po’ incazzare, perché io sono sempre stato dell’idea che non bisogna esacerbare troppo i toni. E dopo aver passato i primi mesi a informarmi su tutto, beh ho riconsiderato col passare dei mesi l’importanza dell’informazione continua. Forse sarebbe meglio tirare un freno. Perché sennò diventiamo pazzi.
Ora è diventato eccezionale potersi abbracciare, potersi stringere la mano, potersi toccare. E io sono uno cui piace molto il contatto fisico. Siamo un popolo abituato anche a trasformare tutto in gioco: salutiamoci con il gomito, facciamo namasté… E ridiamo. Però è veramente una cosa che mi pesa. Poi non non riguarda personalmente, ma il pensiero: “Stasera esco e chissà che cosa accade. Chissà chi conosco. Chissà. Magari mi porto anche a casa una”. Ecco, questa è una cosa che non si può più fare! Impatta molto sulla vita sessuale delle persone, è un virus che ti permette di avere rapporti solo con le persone con cui convivi già e quindi… È un virus cattolico! Ecco! Ultracattolico e tradizionalista! (ride)
Una parte di me
Quando avevo 15 anni volevo diventare una rockstar, e poi niente. Ho continuato a suonare da autodidatta, ho composto canzoni che nessuno ha mai ascoltato, e poi la chitarra al mare, Battisti, Acqua azzurra acqua chiara… Gradualmente, l’ho suonata sempre meno. La mia chitarra ormai era vecchia, mezza scordata, non suonava bene. E il fatto che non suonasse bene, tra l’altro, era un circolo vizioso, no? Non suona bene, ho voglia di suonarla, ma tanto non suona bene, quindi dopo 5 minuti mi rompo le balle, la metto giù perché c’è qualcos’altro di più importante da fare. All’inizio di via Padova però c’è un negozio di strumenti musicali, e io spesso quando passavo li davanti mi fermavo come incantato. Finito il Fringe, il giorno dopo, passo di nuovo lì davanti e penso: “Dai, però me la merito una chitarrina stupidina, no? Me la prendo nuova, piccolina, tranquillina, quella che costa meno”. Quindi entro nel negozio e la tipa, abile venditrice, mi fa provare la chitarra che volevo prendere, quella che costava meno, che non era male, ma insomma, non è che fosse proprio sta gran cosa, e mi dice: “Senta, provi anche questa” e me ne dà un’altra. È bellissima. È la chitarra che ho sempre voluto. Tra l’altro poi le mi fa: “Sa, ho visto che lei suona molto sui bassi. Qua le corde basse sono più accentuate, come vede”. Ed effettivamente aveva dei bassi che eran meravigliosi. La suono ed è perfetta. Rimango incantato e faccio: “Quanto costa?” – perché penso costi l’ira di Dio – invece non costa tantissimo. Cioè… il doppio dell’altra, però poi non tantissimo. E io pazzo dico: “La prendo”. Bravo, bravo, ottima scelta e cose del genere – mi dice la tipa. Esco dal negozio e penso: “Io sono scemo. Io sono scemo proprio”. Invece ora la suono tutti i giorni e tra l’altro ho cominciato a pensare: “Ragazzi, se mi va tutto male, io faccio il busker, cioè vado in piazza del Duomo a suonare la chitarra e prendere quei €20 al giorno. Oh ragazzi, questo lo so fare, è indubitabile”. Ho ritrovato così una parte di me e del mio passato che avevo abbandonato. Sì, il 2020 almeno mi ha riportato una parte fondamentale del mio essere.
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