«Il sacchetto della spesa era diventato un simbolo da condividere»
Alberto Andreetto ha 34 anni, è un Interaction Designer, si occupa dell’interazione uomo con i sistemi meccanici e informatici. E ama il pollo fritto di NoLo. Dice di essere cinico, dice che questa pandemia non ci ha cambiato, che non ne usciremo migliori. Me lo dice a gennaio 2021, quando lo intervisto per farmi raccontare la sua storia. Una storia di solidarietà: è lui ad aver realizzato la Spesa Sospesa NoLo, un sistema di donazioni che ha avuto enorme successo, finendo pure su tanti giornali. Non ne usciremo migliori, però qualcosa Alberto – con Daniele Dodaro – l’ha fatto, e questa è la storia di un’iniziativa che adesso continua, dopo il periodo emergenziale, all’interno del Mercato Comunale di viale Monza, grazie anche a Davide Fassi, ricercatore del Politecnico, e al suo spazio Off Campus Nolo. In questo periodo abbiamo visto le lunghe code davanti al Banco Alimentare. Alberto a suo modo ha realizzato qualcosa capace di aiutare le persone a soddisfare un bisogno primario: mangiare. Il sindaco Beppe Sala lo ha ringraziato via mail. “Vuol dire che abbiamo fatto qualcosa di buono” mi dice Alberto. Non ne usciremo migliori: lo penso anche io, e lo penso fin dal marzo scorso, vedendo la mancanza di empatia, l’aggressività, la stupidità che emergevano dalle persone e dalle Istituzioni, tanto sui social quanto sui media. Non ne usciremo migliori. Poi mentre scrivevo questa storia ho pensato che mi sbagliavo.
Il bisogno di donare
Durante la pandemia io ho sempre lavorato, ma fin da subito ho sentito storie di conoscenti rimasti a casa dal primo giorno. Persone nella media, con un lavoro nomale, che non rispondono all’immaginario comune della “persona che ha bisogno di aiuto”. Ecco questa cosa mi ha toccato. Sono persone come me, hanno la mia stessa vita, invece da un giorno all’altro è saltato il banco. È scattata l’empatia. Sarà anche che invecchiando, mettiamola così, ho sviluppato sempre di più un senso sociale. Così un giorno a fine marzo 2020 ho scritto un post sulla NoLo Social District dicendo: “Se qualcuno avesse bisogno di una spesa, la faccio e gliela porto”. Nessuno però mi ha contattato per avere la spesa, bensì volevano darmi dei soldi per aiutarmi a fare la spesa. Questo mi ha fatto capire che forse c’era un bisogno sotteso che non veniva intercettato da nessuno, quello di donare. Ci ho pensato un po’ nel weekend: come poter intercettare questo bisogno? Che poi è quello che faccio di lavoro, essendo un designer di servizi.
Ho poi contattato Daniele Dodaro, il fondatore della Social di NoLo, che io non avevo mai visto in vita mia, perché ho pensato “Se la faccio da solo e non conosco nessuno, ho credibilità zero”. E lui ha detto sì. Il lunedì abbiamo buttato fuori un post con un google form: “Potete iscrivervi per donare una spesa o per riceverla, oppure solo per contribuire economicamente”. Il post è esploso nel giro di pochi giorni! Una volta si sono iscritte tipo 400/500 persone che volevano una spesa in un pomeriggio. A un certo punto avevamo molte più persone che volevano donare di quelle che volevano ricevere.
Il successo penso sia dovuto al fatto che abbiamo messo in piedi un servizio totalmente disintermediato. La persona che vuole donare ha sempre questa paura perché non sa dove vanno i soldi. Invece questo mio servizio era diretto: “Tu hai bisogno di una spesa, qualcun’altro vuole portare una spesa, io contatto la persona che vuole portarla e gli do il tuo indirizzo e il tuo numero di telefono”. Fine. Io non faccio altro. Facevamo il match di queste persone sulla base della vicinanza geografica.
Il successo è stato tale che una volta abbiamo dovuto sospendere le donazioni. Quel momento è stato abbastanza duro: io avevo il mio lavoro, e poi di notte e nella pausa pranzo lavoravamo davvero non stop sulla spesa sospesa. Così per forza di cose il mio effetto personale è il sacchetto della spesa. Sì, banale. Ma se cerchi sul gruppo di Nolo #spesasospesa come hashtag, troverai centinaia di foto di persone che si facevano la foto col sacchetto della spesa. Era diventato un simbolo all’interno del gruppo, un modo per condividere la propria esperienza.
La povertà relazionale
Ci sono tre tipi di povertà: economica, relazionale e culturale. Il primo è il tipo di povertà che possiamo avere se perdiamo il lavoro, è il più facile da spiegare e da risolvere. Ma fortunatamente io e te non diventeremo poveri se perdiamo il lavoro. Questo perché non siamo afflitti dalla povertà relazionale e da quella culturale. Perché nel primo caso ho una rete di amici e famigliari che mi aiutano, mentre nel secondo caso ho conoscenze e competenze che provo a rivendermi.
La spesa sospesa aveva lo scopo di aiutare tutti in un momento di povertà economica, ma di certo non poteva risolverla. Però poteva sopperire alla povertà relazionale. Quasi tutte le persone che scrivevano avevano sì una povertà economica, ma soprattutto relazionale: non avevano nessuno a Milano, nessuna rete d’aiuto. L’idea mia era: io vi metto in contatto, e oltre la spesa magari si crea anche un legame. In molti casi è successo, è andata bene.
L’uovo di Pasqua
La prima spesa è stata per una ragazza madre di Sesto. L’ho portata io. Un po’ per tenere fede all’impegno di portare una spesa, un po’ per spingere sul gruppo la cosa, attraverso le foto. Sono arrivato, lei mi aspettava fuori dalla porta – era il primo lockdown, c’era molta più paura. Io le ho dato una busta e lei mi fa “Grazie mille” e se ne va. E io: “In realtà ho altre tre buste in macchina”. Lei non ci credeva che fosse una spesa così grossa. Credo avessi speso tipo un 100 euro di spesa. Quindi c’è stata questa piccola gag (ride)… Avevo messo dentro anche un uovo di Pasqua, perché era periodo e perché m’aveva detto che aveva una bambina. Quando sono tornato a casa, mi sono trovato un whatsapp della bambina, un audio per ringraziarmi dell’uovo, era contentissima… Perché se non hai soldi per mangiare, difficilmente hai un uovo di Pasqua.
La spesa umana
Spesso le persone che ricevevano la spesa erano assolutamente esterrefatte perché mai hanno visto una spesa così grossa. Anche perché le associazioni giustamente danno beni di prima necessità (un chilo di farina, uno di zucchero, etc). Il fatto però che fosse una spesa disintermediata, che ci fosse qualcuno che andasse a farla, faceva sì che la persona mettesse dentro anche le cose che piacevano a lei, tipo il cioccolato. E quindi anche beni non di prima necessità e di qualità. Se tu vai a fare la spesa per un altro, a te cosa cambia prendere anche l’uovo di Pasqua? Niente. Se invece sei un’associazione che deve servire 200 persone, non puoi dare 200 uova di Pasqua, perché quelle 200 uova magari corrispondono a 300 kg farina, allora sono più importanti i 300 di farina. Questo era anche il legame relazionale interessante del progetto che veniva a crearsi: ti porto una spesa… Una spesa umana. Non che il resto non sia umano, ma la nostra spesa aveva un tocco più umano, personale, puoi riconoscere che l’ha fatta un’altra persona pensando a te, non un’associazione che compra mille chili di farina.
Una mappa di NoLo per bisogni e donazioni
Non ho una statistica quantitativa, ti do un riscontro qualitativo. In prevalenza hanno donato donne. C’era sicuramente un gap di età era abbastanza ampio. Pochi ventenni. Tanta fascia di 30-50, ma c’erano anche persone di 60/70 anni che donavano. Fasce di età che corrispondono però allo zoccolo duro dei social, e di Facebook. Soprattutto però dalle segnalazioni io avevo sotto gli occhi una mappa di NoLo. Era davvero pazzesco: via Padova faceva da spartiacque, a destra tutto blu, chi aveva bisogno, e a sinistra, tipo via Venini, tutto rosso, chi donava. Se ti spostavi verso la stazione, c’erano persone che avevano bisogno ma anche persone che volevano donare. Più si andava verso nord, verso Crescenzago, più c’erano persone avevano bisogno.
Io non riesco a mangiare
Chi aveva bisogno? Principalmente extracomunitari che, o lavoravano in nero, o facevano lavori nella ristorazione e quindi sono stati lasciati a casa subito. O tantissime colf, tantissime: un lavoro spesso totalmente nero, lasciate a casa dall’oggi al domani in lockdown. E poi sì, anche qualche italiano. Mi è capitato di avere persone che alla prima tornata donavano le spese, e alla seconda invece le chiedevano. Liberi professionisti.
C’è stato uno studente giovani, fuori sede, la famiglia al Sud non poteva aiutarlo, si manteneva lavorando nei bar ma essendo tutto chiuso, mi ha detto: “Io non riesco a mangiare”. C’è chi ha scoperto che a richiedere la spesa era il suo vicino di casa. Ti dimostra la facilità con cui si passa da una parte all’altra: impressionante! Noi identifichiamo il bisognoso d’aiuto con l’immigrato o con la persona poco acculturata. Non siamo abituati a pensare che a chiedere aiuto sia una persona che fino a un mese prima aveva il nostro stile di vita.
Un altro aneddoto che mi ha fatto molto pensare: un giorno sono andato in via Arquà a consegnare delle spese con il Centro Sociale Lambretta con cui la spesa sospesa ha collaborato. Via Arquà è una traversa di via Padova, una via con situazioni spesso al limite. Una via nella quale molti chiedevano la spesa ma nessuno donava. Una persona in lista una volta però mi ha risposto: “Guarda io sono fortunato perché sto facendo il rider in questo momento, quindi riesco a portare a casa qualcosa, solo non riesco a trovare le mascherine. La spesa invece dalla al mio vicino di casa, quella porta lì, perché so che lui ha bisogno”. A quel rider avere una spesa in più non è che gli avrebbe fatto schifo: erano in famiglia in cinque, solo lui faceva rider. Però ha voluto che la dessi a qualcun altro. C’era solidarietà tra persone bisognose.
Alcune persone che avevano trovato di nuovo lavoro rinunciavano alla spesa: non erano diventate ricche, ma comunque preferivano lasciare il posto ad altri. Una ragazza una volta mi ha scritto: “Ho dato la spesa a una ragazza, che mi ha contattato poco dopo dicendomi che, tornando a casa, ha trovato un’altra ragazza che rovistava nel cestino della spazzatura e quindi le ha donato metà della spesa. Non mi ha scritto perché voleva un’altra spesa, ma solo per farmi sapere che la mia spesa aveva servito più persone”.
30 mila euro, 700 famiglie
In totale abbiamo raccolto, facendo una stima, 30 mila euro, in quelle quattro/cinque settimane. Che è tantissimo. Il budget di un anno di alcune associazioni benefiche, ho saputo. Abbiamo fornito spese a circa 700 famiglie, non sono una cifra spropositata, però io ero partito volendo donare una spesa… Dietro c’è anche un lavoro immane, lavoravo e di sera o in pausa pranzo stavo dietro alla spesa sospesa. Vorrei fare anche un encomio alla Conad di via Venini: dei cuori totali loro! Quando hanno capito cosa stavo facendo, il direttore mi ha dato il suo numero di telefono dicendomi: “Prima di venire a fare la spesa, tu mi scrivi, mi dici che cosa hai bisogno e io ti faccio trovare già i bancali organizzati”.
Ad esempio la farina, allora non si potevano vendere più di un chilo per persona, era razionata, quasi come in guerra. Invece lui me ne dava di più perché sapeva cosa stavamo facendo. Io sul gruppo Facebook di NoLo ho litigato con qualcuno perché mi diceva che così favorivamo la grande distribuzione organizzata, e non i piccoli commercianti. Io gli ho risposto che non possiamo salvare il mondo! Ci diamo un obiettivo e aiutiamo tot persone, ma non possiamo aiutare tutti.
Insegnare a pescare
A un certo punto avevamo troppi soldi. Allora ho contattato tre diverse associazioni che operano nell’area di NoLo, ma l’idea era di non donarli ma di trasformarli sempre in una spesa. Con alcune ci ho messo tre settimane per trovare un accordo… Alcune si sono rifatte vive solo dopo, quando la situazione era esplosa. Una mi ha detto che ormai venivano contattati per Spesa Sospesa, e che insomma “stavamo creando un casino”. Chi è stato super recettivo sono stati ragazzi del Lambretta, il centro sociale di via Edolo. Non essendo un’associazione sono molto più liberi. L’idea che mi sono fatto? Uno dei più grossi problemi del terzo settore è che il budget lo devi tramutare in aiuto tangibile. Non lo puoi usare per progettare meglio il servizio. Ma la progettazione non può essere gratis. E invece bisogna partire da lì, perché creando un servizio di raccolta fatto bene raccogli di più. Senza progettualità non arrivi da nessuna parte. È il concetto del: non ti do il pesce ma ti insegna a pescare. Invece vige ancora l’idea che se io ho un budget lo devo convertire tutto in farina, invece di convertirlo in un servizio che mi aiuti ad avere farina per tutto il tempo.
Bellissima iniziativa, complimenti davvero. Però ci tengo a precisare che la paternità di queste iniziative è tutta meridionale: il “caffè sospeso” a Napoli esiste da almeno 30 anni e durante il lockdown del 2020 in tutti i supermercati c’era uno spazio, che fosse un carrello o una cesta, in cui poter donare parte della propria spesa a chi si trovasse in difficoltà.
Molto bello che queste iniziative si diffondano da Nord a Sud ma magari un approfondimento sulle origini sarebbe stato opportuno
Gentile Daniela, è vero, ma siccome l’idea napoletana di caffè sospeso è ben conosciuta non l’ho ripresa nella breve introduzione. Grazie
Perché l’articolo è scritto al passato? Si tratta forse di un’esperienza conclusa? Eppure di spesa sospesa ce ne sarebbe ancora molto bisogno…
L’iniziativa continua in altro modo, c’è il link nella parte introduttiva alla storia! Grazie
Salve, siamo 2 sorelle di Roma e saremmo molto interessate ad aiutare anche noi, facendo magari la stessa cosa qui. Purtroppo non siamo molto sociale e non sappiamo da dove iniziare.
Sappiamo per certo che ci sono persone molto bisognose, non nel nostro entourage ma forse potremmo intercettare tanti che vogliono donare e metterli in comunicazione proprio come ha fatto Andrea.
Salve, stiamo pensando anche a Bari di replicare l’idea utilizzando alcune associazioni che hanno una pagina facebook. Se volete vi terremo informate su quello che riusciamo a fare e come.
Proveremo a chiedere consigli ad Alberto e vi faremo sapere