«Non andrei da nessun’altra parte»
Intervisto Joanna Borella a inizio gennaio 2021. Ha tanta voglia di parlare, e avrebbe tanta voglia di muoversi: Joanna infatti è Mr. Jo, gioca a calcio da sempre e allena calciatrici di tuttele età grazie alla sua associazione Bimbe nel Pallone. Causa pandemia ora è ferma. Eppure qualcosa è riuscita a inventarsi lo stesso, prendendo spunto da ciò che tutti noi, fin da bambini, facevamo in casa, spesso tra fratelli e sorelle. Come puoi leggere qui, il suo “effetto personale” racchiude tutta la voglia di fantasticare, di trasformare anche un pezzo di carta in un pallone, e di muoversi e giocare, anche quando siamo costretti a stare chiusi in uno spazio piccolo piccolo. Milanese da sempre, da quando arrivò piccola dall’India, abita dagli anni Novanta tra via Padova e via Pasteur e ha visto cambiare la città.
Sono cresciuta in zona Porta Romana, e mio babbo vive ancora lì. La mia infanzia, la mia vita fino ai 20 anni, fino al 1990, l’ho vissuta lì. Lì si giocava, è una zona molto verde, quindi c’erano degli spazi belli, i tavoli, i giardinetti proprio davanti a casa, quindi a ogni ora buca ero giù a giocare a pallone. Ad esempio in piazzale Libia, un’altra piazza bellissima… Quello era il nostro campo, chiamato San Sirino, perché comunque aveva un po’ la forma di San Siro. Però aveva questa particolarità dell’albero in mezzo ai piedi (ride) e quindi dovevi dribblarlo o ti stampavi (ride). Poi nel 1983 conobbi il mio ex marito, lui già viveva in via Padova, quindi già allora frequentavo via Padova, Piazzale Loreto – il quartiere ancora non si chiamava NoLo. Poi mi ci sono trasferita negli anni Novanta, e ancora ci vivo, e non andrei da nessun’altra parte, ecco.
Già allora avevo questa passione per questa via colorata, e i suoi profumi… Una via particolare, viva. Sono passata da una zona considerata di lusso, elegante, bella, cioè Porta Romana, a una zona considerata di periferia, tremenda, paurosa e tutto quello che volete aggiungere… Invece a me ha sempre trasmesso tranquillità, serenità. Mi sono sentita a casa. Sulla mitica 56, l’autobus che percorre tutta via Padova, c’era sempre vita. Io ero abitata a prendere la tristissima 92 che faceva da viale Umbria a Piazzale Loreto, e allora non c’era su nessuno. Rischiavi, essendo una ragazza, ed essendo di colore, di incontrate l’imbecille. Venendo qua non mi è mai capitato.
Il quartiere multietnico
Quando ero ragazza, la cosa che mi faceva paura e tristezza, erano tutti questi ragazzi e ragazze italiani che erano in fila alle liste di collocamento per cercare lavoro, e tutti che si lamentavano: non c’è mai lavoro e gli africani che ci rubano la casa, il lavoro… Arrivavi in fila e sentivi ragazzi come te, con poco meno di vent’anni, che cercavano, e magari rifiutavano di fare il pizzaiolo o altro, lavori “umili”. Io, se avevo bisogno di lavorare, prendevo quello che passava il convento. In via Padova è stato così, non si è stati tanto lì a dire “gne gne gne”. C’è da tirarsi su le maniche? Le panetterie le han prese tutti gli egiziani. Gli indiani fanno tutti i sarti. E così via. Adesso il quartiere sta ricrescendo. Si sta trasformando. È tornato attivo il Mercato Comunale, un luogo secondo me molto importante, in ogni zona, in ogni quartiere. Avevo smesso di andare al mercato comunale perché era troppo costoso, conveniva andare più dall’indiano, dall’egiziano e trovavi qualità comunque buona. Adesso per fortuna l’hanno riaperto e ora ha senso andarci, ed è diventato un simbolo, tanto che dentro c’è la sede di Radio NoLo.
Una città più sicura
Negli anni Ottanta c’erano quegli spazi abbandonati, anche in una zona centrale, dove rischiavi l’adescamento ogni tre per due, c’era la nebbia – quando arrivava il nebbiun – ed era pericolosa… Mentre adesso è cambiato molto, ad esempio c’è qualche negozietto etnico, quindi non ci sono più quelle domeniche dove non c’era aperto niente… Era pesante se avevi bisogno di qualcosa. E poi mia mamma mi ha insegnato: “Se sei in pericolo, entra in un negozio che qualcuno ti può aiutare”. Ma con tutti i negozi chiusi con le serrande giù, dove entri? (ride) Piazza Tirana adesso è tutto un’altra cosa. Sempione e l’Arco della Pace, negli anni Ottanta avevi i brividi a passare da lì, adesso no. L’altra zona orrenda era porta Garibaldi, con quello squallido luna park. Adesso è una zona con i prati con i fiori.
Nel momento in cui la città si trasforma, grazie ai negozi e alla vita sociale, diventa anche una città più sicura, soprattutto per le donne. Devo dire che con il lockdown e poi il coprifuoco, e la poca gente in giro, ho avuto paura a girare per la città come non mi capitava da anni…
Sì, concordo. Questo è molto triste, purtroppo. Tutte queste serrande chiuse, la gente che non può uscire… Si torna un po’ indietro… Non al degrado, ma indietro. Dall’altra parte l’unico lato positivo è l’alleggerimento dell’aria e il silenzio. Stando in via Pasteur, basta che passi il motociclista che smanetta e mi trema la casa. Questo è l’unico vantaggio della natura (ride).